Attacchi di panico, ansia e respiro
Il DAP (disturbo da attacchi di panico), insieme all’ansia, è una delle patologie emergenti di questo secolo, che coinvolge prevalentemente individui giovani di sesso femminile tra i 20 e i 40 anni. Può colpire improvvisamente e indistintamente persone sane e socialmente realizzate. In Italia soffrono di panico almeno 11 milioni di persone, tra cui tre milioni di uomini e sette di donne. L’attacco di panico si manifesta in modo improvviso e spontaneo, può durare dai cinque ai trenta minuti e provoca una serie di sintomi che variano da individuo a individuo. Una caratteristica comune a chi soffre di crisi di panico è l’intensa paura e il senso di forte terrore che porta a sentirsi disorientati, temendo – al contempo – di soffocare, di perdere il controllo, di impazzire e di morire. Durante un attacco di panico, inoltre, si possono avere sensazioni di svenimento, vertigini, batticuore, fremiti, intorpidimento degli arti, sudorazione, vampate di calore o brividi di freddo. Questi sintomi possono dar luogo a una serie di ansie capaci di limitare in maniera piuttosto grave la vita personale, professionale e sociale dell’individuo che ne è colpito. Infatti, nei casi più gravi la tendenza comportamentale di chi ne soffre è quella di non abbandonare mai la propria abitazione, neanche per le necessità primarie, di evitare di guidare, di viaggiare o di rimanere soli. Tra le fobie più frequenti troviamo l’agorafobia e la claustrofobia. L’agorafobia – la paura degli spazi e luoghi aperti – spinge ad evitare quei posti dove, in caso di pericolo, non è facile ricevere aiuto o fuggire. La claustrofobia è, invece, la paura degli spazi e luoghi chiusi, ristretti e, a volte, angusti come gli ascensori, i tunnel, la metropolitana o l’aereo, da cui la fuga sarebbe difficile o impossibile.
Crisi di panico e gli squilibri associati al respiro
Solitamente chi ha avuto il primo attacco di panico in aereo, eviterà in futuro di viaggiare con quel mezzo. Nei casi più gravi cercherà anche di evitare ogni altro mezzo di trasporto. Questo accade perché anche una sola crisi di panico basta a far nascere il timore che possa ripetersi. Ciò viene chiamata “ansia anticipatoria”, cioè la “paura di aver paura”.
“ansia anticipatoria”.
È l’incessante timore che la crisi di ansia e di panico possa ripetersi. La paura è caratterizzata da pensieri ossessivi e ripetitivi come: “ora mi ricapita, si lo sento, mi succede, ora come faccio, mi sta salendo l’ansia, nessuno mi può aiutare”. Secondo la medicina ufficiale e la psichiatria l’attacco di panico è una malattia del cervello. Questa è causata da un’alterazione chimica associata ad eccesso di noradrenalina, molecola dell’attacco e fuga. Attualmente la terapia medica convenzionale ritenuta più valida consiste nella somministrazione di antidepressivi e nella psicoterapia. La prima, non sempre priva di effetti collaterali, la seconda mira a individuare le reali paure, quale sia il malessere profondo e con quali strategie superarli. L’esperienza del rebirthing ha dimostrato con certezza il rapporto esistente fra l’insorgere delle crisi di panico e gli squilibri associati alla respirazione. Tali alterazioni si manifestano con estrema facilità in persone predisposte e in coloro che, senza esserne coscienti, respirano male.
Il Rebirthing contro ansia, depressione e attacchi di panico
La pratica del rebirthing alcalinizza il sangue, riporta alla calma e aiuta ad integrare – cioè ad elaborare – le emozioni represse collegate alle crisi di panico, così come all’ansia e alla depressione. Si può quindi sostenere che le cause e i sintomi legati agli attacchi di panico si possano risolvere, da un lato, rivolgendo l’attenzione alle radici del problema e, dall’altro, operando per sbloccare la respirazione. Così come innesca la crisi, così è in grado di curarla. Riconoscere al respiro questo suo potere naturale è il primo passo verso l’autoguarigione. Attraverso la respirazione si crea un contesto opportuno in cui le sensazioni fisiche ed emotive possono essere affrontate tranquillamente. Fin dalle prime sedute di rebirthing, infatti, si impara a fronteggiare i successivi attacchi di panico: si respira in modalità circolare e ci si rassicura con affermazioni positive finalizzate a tenere a bada le paure e la sensazione di morte che caratterizzano la crisi. Peraltro, nello stato di panico non è facile ricordare di ripetersi “va tutto bene, sono al sicuro, ho fiducia nella vita” oppure “di panico non si muore”, perciò è necessario portare sempre con sé le affermazioni scritte da ripetere mentalmente o a voce alta. L’abbinamento del respiro circolare con le affermazioni positive è un potente sedativo naturale, un rimedio di emergenza che permette di fronteggiare la crisi almeno fino al momento in cui, attraverso il lavoro con il rebirthing, verranno “sciolti” tutti gli schemi limitanti legati agli attacchi di panico.
Il panico… ospite indesiderato
In questa prima fase si impara ad accogliere il panico come fosse un ospite indesiderato e innocuo, ad attenuare l’ansia anticipatoria ed evitare le corse al pronto soccorso. Il sintomo non viene più visto come una malattia della mente, ma come un disagio dell’anima che attende di essere liberata da vecchi schemi e dai retaggi della società in cui viviamo. Negli incontri di rebirthing è il respiro che permette di elaborare eventuali paure coscienti emerse nel colloquio iniziale, di integrare gli schemi inconsci limitanti e il proprio scenario o trauma di nascita. Il rebirthing, infatti, per definizione è “la respirazione del trauma di nascita“, poiché i traumi vissuti soprattutto al momento del parto – ma non solo quelli – rimangono impressi nella memoria cellulare, condizionando la vita presente finché non vengono liberati, del tutto o in parte, dal respiro consapevole. Parlando di attacchi di panico questo è ancora più vero. Nell’esperienza con il rebirthing si è osservato, infatti, che le persone maggiormente predisposte a soffrire di DAP sono coloro che hanno avuto una nascita difficile, caratterizzata da lunghissime ore di travaglio o da pratiche mediche invasive come l’ossitocina, la manovra di Kristeller, l’utilizzo del forcipe o della ventosa. Può soffrirne chi è nato con parto cesareo, chi ha avuto un taglio precoce del cordone ombelicale o chi, quest’ultimo, lo aveva intorno al collo.
La paura del bambino
La paura del bambino di non riuscire a nascere quando il parto si complica è talmente forte che egli teme per la propria vita. Non può uscire da quella che ora è diventata la sua trappola – la sacca amniotica ormai asciutta – e ha terrore di morire. Quando finalmente riuscirà a nascere, da solo o con l’aiuto di mezzi esterni (forcipe, ventosa o altro), la paura provata e rimossa si ripresenterà quando situazioni emotivamente simili a quelle vissute durante la sua nascita si proporranno nel quotidiano, come succede, ad esempio, quando ci si sente in gabbia in un rapporto affettivo, famigliare o lavorativo. Un’esperienza degna di nota è quella di un praticante avvicinatosi al rebirthing per superare gli attacchi di panico. Racconta di aver avuto la sua prima crisi sollecitato dal ticchettio di un orologio a pendolo; in seguito, le crisi hanno cominciato a ripresentarsi stimolate da ogni tipo di ticchettio o rumore similare. La cosa straordinaria è stata scoprire, durante il colloquio iniziale, che al momento della nascita era presente un orologio a pendolo che scandiva secondi, minuti e ore del suo “dramma” di nascita. Il praticante ha respirato in una sala alla cui parete era appeso un orologio dal ticchettio rumoroso che, inizialmente, è stato rimosso; infatti, le emozioni che questo suono suscitava in lui si sono rivelate troppo forti da gestire. Successivamente, la stessa persona è riuscita a respirare in presenza del ticchettio e, seduta dopo seduta, si è infine liberato dal ricordo inconscio di nascita che, evidentemente, era la causa delle sue crisi di panico. Con il rebirthing si vanno, dunque, a integrare quegli schemi invisibili ma dolorosi, capaci di veicolare messaggi inascoltati di angoscia o malessere.
“Chi sono e cosa voglio?”
L’intervento dell’ansia e degli attacchi di panico è decisivo; ci obbliga a guardarci dentro per capire che cosa vogliamo davvero, dove e come intendiamo procedere in tutti gli ambiti della nostra vita. “Chi sono e cosa voglio” è un interrogativo fondamentale da porsi quotidianamente finché non arriva “la risposta”, che potrebbe anche pervenire in modo analogico, cioè attraverso immagini, sensazioni, pensieri improvvisi o incontri inaspettati. Il percorso del rebirthing porta a prendere coscienza di come la vita per molti versi assomigli al proprio scenario di nascita e dell’importanza della sua integrazione. Un po’ per volta emergeranno le credenze limitanti che, attraverso l’accettazione del momento presente, le affermazioni creative, gli eventuali perdoni e, imprescindibilmente, il respiro consapevole apriranno la via dell’autoguarigione e di una nuova visione di vita più funzionale alla propria salute fisica, mentale, emozionale ed energetica. Solitamente dopo un ciclo di dieci sedute si è in grado di gestire le crisi quando si presentano; infatti, ogni volta che si riesce autonomamente a far rientrare un attacco di panico attraverso il respiro, questo meccanismo diventa sempre più la norma e pian piano l’attacco tende a presentarsi meno di frequente, fino a scomparire del tutto. L’unico impegno richiesto a chi si avvicina al rebirthing è quello di affidarsi al metodo e di sviluppare una sufficiente fiducia in sé stessi per poter dar inizio ad una nuova vita. Potreste persino arrivare a ringraziare quel “mostro” chiamato attacco di panico e a vederlo come una importante occasione di cambiamento.
Fabiola Dessì